Dopo la recente intervista a Fausto Intilla dal titolo “Vecchie ipotesi, nuovi orizzonti” presentata lo scorso giugno in esclusiva per Altrogiornale, è con grande piacere che oggi vi proponiamo di seguito un’altra interessante intervista all’amico Fausto sul grande tema del “tempo” realizzata il 30 Luglio 2017 a cura di Nadia Lisanti, interprete LIS (Lingua Italiana dei Segni) – Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Nadia Lisanti: Buongiorno Fausto e grazie per aver accettato questa mia seconda intervista, dopo la prima, pubblicata sul nostro sito ormai più di un anno fa. Oggi vorrei sapere che cos’è, per te, il concetto di tempo; da millenni scienziati e filosofi si interrogano su tale questione, ma lasciando sempre, a mio parere, molti punti interrogativi e arrivando spesso a definizioni quasi sempre piuttosto soggettive, al riguardo. Dico bene?

Fausto Intilla: Buongiorno Nadia. Certo, hai colto nel segno; una definizione chiara ed oggettiva del concetto di tempo, dopo secoli di storia e l’avvento del metodo scientifico, ancora non è stata trovata. Si tratta ovviamente di un concetto astratto, che possiamo definire con delle unità di misura, ma sempre in rapporto ai moti relativi del sistema (o sistemi) considerato/i. Oggi siamo in grado di definire un’unità di misura per il tempo, contando le oscillazioni velocissime di un laser, accoppiate alle vibrazioni di un singolo atomo di mercurio. La precisione in tal caso, arriva addirittura al femtosecondo (un milionesimo di miliardesimo di secondo!). Nel Sistema Internazionale (SI) comunque, la definizione di un secondo, rimane sempre legata al numero di oscillazioni dell’atomo di Cesio 133, relativo alla transizione tra i suoi due livelli energetici dello stato fondamentale.

Abbiamo dunque, una visione del concetto di tempo, sempre legata alla nostra percezione del movimento; una percezione che possiamo avere solo attraverso l’osservazione, della realtà dinamica a noi circostante.

Tuttavia, questo non è il solo modo possibile (ed oserei dire immaginabile) di interpretare un concetto tanto astratto e sfuggente, come quello di tempo.

N.L.: Immagino che tu ti riferisca al “tempo soggettivo”, quello che in situazioni analoghe, varia da soggetto a soggetto, a dipendenza del loro stato emotivo. Se ben ricordo, anche Einstein ebbe a dire qualcosa di simile, quando un giornalista gli chiese cos’era, per lui, il tempo.

F.I.: Ricordi bene. Tuttavia, esistono anche altri approcci a tale questione, che spesso non vengono considerati, sia in ambito scientifico che filosofico. A questo punto, per esporre le mie idee nel modo più chiaro possibile, è meglio che vada per esempi. Immaginiamo di essere delle entità spirituali, pensanti ma prive di un corpo fisico che potremmo quindi osservare per coglierne i movimenti, i quali a loro volta sarebbero in grado di darci la percezione di un “prima e dopo”, ovvero di un flusso temporale. Ora immaginiamo di essere tali entità incorporee, immerse in una sorta di “vuoto assoluto”, in cui non è possibile osservare alcun sistema di corpi in movimento (condizione essenziale su un background di “vuoto assoluto”, onde percepire il “flusso del tempo”; infatti un solo corpo in movimento, su un tale background, ci apparirebbe fermo! Tutta la Relatività Ristretta, poggia su tali premesse fondamentali) e di pensare: “Sto osservando il vuoto assoluto”. Ebbene in quel preciso istante, il solo fatto di aver pensato a quella successione di parole, a quella frase ricca di significato, ci dà la percezione di un flusso di eventi psichici e quindi in ultima istanza, di un “flusso temporale”. Dunque il tempo è definibile, a mio avviso, anche in funzione di un processo di elaborazione dell’informazione, consapevole della sua stessa esistenza (ovvero capace di autodefinirsi, come un’entità pensante); senza tale consapevolezza, probabilmente verrebbe a mancare anche la percezione di un “flusso temporale”; ma potrei anche sbagliarmi.

N.L.: Tutto ciò che hai appena esposto, mi porta a riflettere sul concetto di intelligenza artificiale. Dunque una “mente artificiale”, teoricamente potrebbe percepire il “flusso del tempo”, solo se ad un certo punto, divenisse consapevole della sua stessa esistenza? La famosa locuzione di Cartesio, Cogito ergo sum, in tal caso si riempirebbe ancor più di significato; diverrebbe la formula perfetta per definire un confine tra un semplice processo di elaborazione dell’informazione e un’entità pensante in grado di riconoscere sé stessa, poiché consapevole della sua stessa esistenza.

F.I.: Sì, credo che le cose stiano esattamente così; appoggio dunque pienamente la tua tesi, ma con qualche riserva, visto che siamo sempre nel campo delle ipotesi. Secondo Seth Lloyd, David Deutsch ed altri famosi ricercatori nel campo della computazione quantistica, l’Universo potrebbe essere inteso come un immenso computer quantistico, in grado di “calcolare sé stesso”, in un interminabile ed illimitato processo di elaborazione dell’informazione. La domanda fondamentale quindi, se le cose stessero davvero così, sarebbe la seguente: “In tal caso, l’Universo sarebbe in grado di riconoscere sé stesso e dunque, in ultima analisi, di percepire un flusso del tempo?”.

Sembrerebbe una domanda folle e priva di senso, eppure è del tutto pertinente a ciò che abbiamo finora analizzato, sotto ogni punto di vista. Se l’Universo fosse davvero in grado di riconoscere sé stesso, almeno per esso esisterebbe quindi una sorta di “tempo assoluto”, all’interno del quale potrebbero convivere tranquillamente tutti i moti relativi previsti dalle leggi della Relatività Ristretta, sia in ambito microscopico che macroscopico, in accordo con la tesi sostenuta a tal proposito da Ilya Prigogine, a sua volta ispirato dalle idee di Henri Bergson (sui concetti di spazio e tempo “assoluti”).

In conclusione quindi, possiamo affermare che non vi è alcun modo di escludere il tempo, da qualsiasi definizione di realtà. Anche immaginando il “vuoto assoluto”, ovvero un Universo privo di qualsiasi corpo celeste, sappiamo per principio che non può esistere alcuno spazio vuoto di campo; non a caso si parla appunto di vuoto quantistico, ovvero di uno spazio “vuoto” ma solo in apparenza, poiché ricco di coppie di particelle virtuali che traggono origine dal “nulla” per poi autodistruggersi immediatamente in un ciclo senza fine. E sono proprio queste interminabili fluttuazioni quantistiche, a dare origine a quello che potremmo definire come “tempo oggettivo”; in sostanza, la classica definizione di tempo legata alla quantità di moto di particelle infinitamente piccole (siano esse reali o virtuali).

N.L.: Se ben ricordo comunque, in base a ciò che hai esposto precedentemente, il concetto di tempo è legato anche ai processi di elaborazione dell’informazione. Dico bene?

F.I.: In un processo di elaborazione dell’informazione, abbiamo dei bit che seguono un percorso non casuale, formando degli schemi che possono prendere forma solo grazie ad una loro (dei bit) redistribuzione nello spazio. In questo caso abbiamo dei moti relativi a delle quantità non fisiche (bit di informazione), da cui trae origine un “tempo oggettivo” nel caso in cui tale processo non sia abbastanza complesso da dare origine ad un’entità pensante in grado di autoriconoscersi, ed un “tempo soggettivo” nel caso contrario. Da cui l’idea che la percezione del flusso del tempo, negli esseri umani, vari da individuo a individuo, a dipendenza del loro stato emotivo e della quantità di informazione che debbono elaborare in un dato momento. Come puoi ben intuire, liberarsi del concetto di tempo, quando “tutto si muove”, diventa un’impresa assai difficile, se non impossibile.

N.L.: È davvero tutto molto interessante, Fausto. Se c’è una cosa di cui a questo punto sono assolutamente convinta, è che possiamo tranquillamente lasciare il concetto di “spazio senza tempo”, nel mondo dei sogni e della fantasia.

F.I.: Effettivamente l’unico modo per poter escludere il concetto di tempo da ogni descrizione/definizione della realtà, è quello di immaginare l’esistenza di uno spazio infinito, vuoto di campo e di qualsiasi processo di elaborazione dell’informazione; anche da parte di ipotetiche “entità spirituali”, in grado di “percepire” la loro stessa “esistenza” e dunque un “flusso temporale” del tutto soggettivo. Uno “spazio senza tempo” potrebbe quindi esistere, ma solo nella nostra immaginazione, nella nostra fantasia, per riprendere le tue stesse parole.

N.L: Grazie Fausto per questa breve ma interessantissima intervista, ricca di ottimi spunti di riflessione su un argomento dibattuto ormai da secoli, da innumerevoli filosofi e scienziati. Un dibattito che molto probabilmente non avrà mai fine, ma che indubbiamente ci aiuterà ad evolvere su percorsi filosofici e scientifici che oggi ancora non conosciamo e che scopriremo solo …col tempo.

F.I.: Grazie a te Nadia. Un caro saluto, a presto!

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