Uscita prevista in tutte le librerie online: Febbraio 2021 (Aracne Editrice, Roma; pp. 236)

PREFAZIONE (dell’autore): 

Questo breve saggio, vuol essere una piccola antologia in cui trovano spazio (raccolte in un ordine un po’ particolare ed inconsueto), diverse analisi di impronta scientifica, filosofica e sociologica, frutto di circa venti anni di studi e ricerche da parte del sottoscritto. Ovviamente, vista la quantità poco elevata di pagine che compongono il presente volume, tutte le analisi inerenti ai più svariati argomenti trattati in questa sede, sono state “ridotte ai minimi termini”; senza tuttavia comprometterne il valore informativo (sempre elevato, grazie ai numerosi dettagli esplicativi, fondamentali e mai ridondanti, che caratterizzano ormai da molti anni, il mio modo di scrivere e di fare divulgazione scientifica).

Come già accennato, l’ordine con cui sono stati esposti i vari argomenti nel presente volume, potrà apparire a “prima vista”, poco “funzionale” e a tratti anche distante da una certa logica che vuole, in tutta la letteratura in generale (di qualsiasi natura essa sia), secondo i ferrei canoni dettati dall’ortodossia in ogni ambito del sapere umano, sempre e costantemente degli schemi ben precisi al di fuori dei quali, tutto viene visto con sospetto da chi in ultima istanza ha il compito di controllare, esaminare, giudicare e purtroppo, anche di sentenziare (nell’accezione più dura del termine).[1]

Tuttavia, anche se apparentemente assente, una sorta di Leitmotiv pervade l’intero testo di questa antologia, che voglio dedicare a tutti i miei lettori più affezionati. Si tratta di un filo logico molto sottile, che unisce gli aspetti del mondo interiore (psiche, anima, intuito e pensiero razionale) con quelli del mondo esteriore (realtà fisica a noi circostante). Alla luce di quanto oggi è conosciuto in ambito scientifico, soprattutto grazie alle recenti scoperte nell’ambito della meccanica quantistica (dove solo pochi anni fa, nel 2015, grazie agli ultimi esperimenti sulle disuguaglianze di Bell, si è riusciti a dare il colpo di grazia al Realismo locale), tracciare un netto confine tra mondo interiore e mondo esteriore, oggi risulta essere assai più difficile rispetto a qualche decina d’anni fa (se non addirittura impossibile, da un punto di vista puramente teorico; ma ovviamente possibile e persino consigliato, da un punto di vista pratico, poiché ad essere in gioco è la nostra stessa “tenuta sociale”).

Dunque, nel momento in cui non ci è più possibile dare una definizione del tutto coerente, logica, razionale ed “assoluta” al concetto di “realtà fisica” (poiché i confini tra reale e virtuale, tra psiche e materia, si fanno via via più sottili e sempre meno visibili), dovrebbe apparire sensato cercare di analizzare l’immagine del mondo, ovvero l’immagine di tutto ciò che ci circonda, includendo nel sistema considerato anche noi stessi; l’elemento umano, costituito da tutto ciò che appare a noi stessi e a chi ci osserva (il riferimento dunque è alle interrelazioni umane), ma anche da tutto ciò che non appare, poiché facente parte di un mondo interiore, a volte non riconoscibile e non “visibile” neppure a coloro che teoricamente ne sono i legittimi “proprietari”.

Ma siamo proprio sicuri che tali mondi interiori, tutti apparentemente diversi gli uni dagli altri, appartengono solo a noi stessi, dunque ad ogni singolo individuo, ovvero ad ogni singolo “proprietario”? Da dove potremmo ricavare tale informazione, tale eventuale certezza? In quale ambito del sapere umano? Forse nella meccanica quantistica? Bè, proprio oggi più che mai, la meccanica quantistica ci conduce esattamente verso la direzione opposta; verso quell’olomovimento bohmiano[2] che la scienza ortodossa si ostina a voler escludere da ogni trattato accademico sui fondamenti della fisica, poiché “non necessario” (e persino destabilizzante) ai fini del puro calcolo nell’ambito della fisica più avanzata (dove vige sempre una sorta di regola sottaciuta ma imperante, il cui nome è il seguente: rinormalizzare; dove la norma risale ancora ai tempi di R.Feynman e spesso risuona ancora nelle menti dei più anziani addetti ai lavori, forse con lo stesso tono perentorio con cui il grande Dick si rivolgeva ai suoi alunni: “Zitto e calcola!”).

Ma se escludiamo il mondo della fisica più avanzata, allora per cercare qualche prova del “reale”, potremmo ripiegare su quello della filosofia; oppure su quello della psicologia. E se occorresse considerarli entrambi, in una sorta di interrelazione simbiotica tutt’altro che facile da scandagliare, da analizzare ed infine da interpretare? E se entrasse in gioco anche la biologia? Il punto fondamentale della questione, penso che l’abbiate già intuito; e sicuramente l’avevano intuito già gli scolastici[3] nel Medioevo. Esiste un solo mondo, Unus Mundus, ovvero una sola realtà unitaria di base da cui tutto emerge (e per cui tutto ritorna). Un’immagine della realtà tanto cara anche, in tempi molto più moderni, al famoso psicologo svizzero Carl Gustav Jung (il padre della Sincronicità, un tema a me caro sin dai tempi della mia “post giovinezza” e che spesso e volentieri ripropongo nei miei libri).

In Mysterium coniunctionis, Jung scrisse: “Per Unus mundus G. Dorn intende il mondo potenziale del primo giorno della creazione dove nulla esiste ancora in actu, cioè tra i Due e la pluralità, ma solamente nell’Uno. L’unità dell’uomo (…) significa ugualmente per Dorn la possibilità di produrre anche l’unità col mondo; non con la realtà multipla che vediamo, ma con un mondo potenziale che corrisponde al fondamento eterno di tutta l’esistenza empirica, (…) inclusa la sorgente originaria della personalità che comprende quest’ultimo nel passato, nel presente e nel futuro”.

Secondo Jung, i concetti di archetipo e Sincronicità, potrebbero essere dunque correlati all’Unus Mundus; ciò dovrebbe risultare possibile dal fatto che in ogni evento acausale sincronico (come amava definire Jung le manifestazioni della Sincronicità), sia l’osservatore che il fenomeno collegato, in ultima analisi derivano dalla stessa fonte: l’Unus Mundus.

In tempi moderni, l’unica persona dotata di grande genio che ha osato formalizzare attraverso la matematica più avanzata tali intuizioni, fu il fisico e filosofo statunitense David Bohm; e il frutto delle sue elucubrazioni, prese il nome di: teoria dell’olomovimento (anche nota come teoria dell’Universo Olografico).

In ogni epoca della storia umana, l’uomo cerca sempre di superare i propri limiti inerenti al suo sapere, alla sua conoscenza razionale, a tutto ciò che è definibile attraverso il linguaggio comune o matematico, ma quando si avvicina troppo alla “verità” (per quanto sia sempre parziale e mai assoluta), il razionale tende a fondersi con l’irrazionale e l’ultimo passo purtroppo, sovente porta alla follia (Cantor docet).

I più fortunati a questo mondo, sono caratterizzati da un’intelligenza mediocre e dalla scarsa curiosità che ripongono in ogni aspetto inerente alle varie complessità ripartite in ogni ambito della sfera umana (dalla fisica alla filosofia, dalla psicologia alla biologia, dalla geologia all’astronomia, etc.). Sono coloro a cui è sufficiente conoscere il conosciuto, senza pretese di sorta connesse a ciò che potrebbero o non potrebbero (per loro stessa natura) scoprire. Sono coloro che accettano la vita per quel che è: un breve passaggio terreno ricco di emozioni, avventure, esperienze, gioie e dolori, che inizia con il mistero della nostra nascita e si conclude con un mistero che da millenni vorremmo risolvere: quello che prende forma solo un istante dopo la nostra morte. Per costoro la morte, parafrasando Sartre, “c’est l’absurde”, un semplice dato di fatto da accettare così com’è; per cui al termine dei giochi, dalla loro coscienza non potranno mai scaturire domande del tipo: “Cosa ho fatto di buono in questa vita?”, “Che cosa ho capito?”, “Quanto ho amato?”, “Cosa ho lasciato?”, etc. Tutte domande che nel corso della nostra vita non abbiamo quasi mai il tempo di porci (o che semplicemente, non vogliamo porci), perché coinvolti emotivamente nel turbinio degli eventi che ci attanagliano, ci sovrastano e spesso e volentieri ci deludono e ci debilitano. Insomma, abbiamo sempre la giustificazione in tasca, pronta per ogni evenienza. Una giustificazione che tuttavia non basta mai a liberarci da ogni “colpa”; per dirla con Jung: “Veniamo trascinati dal fato verso ciò che ci rifiutiamo di avvicinare camminando a testa alta”.

Fausto Intilla

Cadenazzo, 19 ottobre 2020

Note:

[1] Fortunatamente però, a volte qualche editore dalla “vista lunga” e allergico a ogni tipo di pregiudizio o stereotipo sociale, lascia a qualche fortunato scrittore, la libertà di esprimersi nel modo e nella forma che ritiene più idonei, in un determinato contesto. Se nel 1922, una gentildonna americana di nome Sylvia Beach non avesse accettato di difendere almeno una volta nella sua vita, la novità e l’irriverenza di ciò che con forza, a volte, va a rompere e a scompigliare ogni schema precostituito nell’ambito dell’ortodossia condivisa socialmente in un determinato periodo storico, oggi molto probabilmente quasi nessuno avrebbe potuto leggere l’Ulisse, di James Joyce.

[2] Relativo alla teoria dell’olomovimento, del fisico e filosofo statunitense David Bohm.

[3] Scolastica è il termine con il quale comunemente si definisce la filosofia cristiana medioevale, in cui si sviluppò il metodo di pensiero dello scolasticismo, detto anche scolastico. Dunque gli scolastici, erano tutti coloro che seguivano, nel Medioevo, tale corrente di pensiero.