Per questo articolo avrei voluto scrivere il seguente titolo: “Dalla Teoria a Molti Mondi di Hugh Everett III, alla Teoria delle Stringhe, passando per l’Universo multi-dimensionale di David Bohm”, ma mi sembrava un po’ troppo lungo e quindi poco idoneo/conforme alle “regole del web”. Tra gli stringhisti, credo che i meno scettici nei confronti dell’ipotesi di Everett, vedrebbero di buon occhio l’ipotesi di Bohm (sempre meno citata in ambito accademico, negli ultimi 10-15 anni, per ragioni che mi sfuggono; ma tuttavia in sintonia con gli ultimi sviluppi della Teoria delle Stringhe). Secondo il Principio Olografico di Bohm, l’Universo non esiste solo nella forma tridimensionale che ci è familiare (o quadrimensionale, se includiamo anche il tempo, secondo il modello della Relatività Generale); esso sarebbe invece un Universo che si estende/dirama in infinite dimensioni (che ovviamente includono la sua totalità). Nel contesto quantistico, questa ipotesi fornisce un buon modo per comprendere lo strano effetto della causalità non-locale previsto dall’esperimento EPR e verificato nei successivi esperimenti sull’ipotesi di Bell.
Immaginiamo un acquario con due telecamere poste ad angolo retto tra loro, con gli obiettivi puntati sulla vasca. Le immagini riprese dalle telecamere sono proiettate su due schermi televisivi A e B. La telecamera A riprende frontalmente un pesce che nuota nella vasca e l’immagine viene trasmessa dal televisore A. Analogamente, la telecamera B riprende lateralmente il pesce e ne trasmette l’immagine sul televisore B. Supponiamo ora di non sapere nulla delle telecamere e dell’acquario e consideriamo il pesce come una particella elementare. Che cosa pensate della relazione tra le immagini dei due schermi? Probabilmente concludereste che erano due particelle che interagivano in qualche modo. Notereste, per esempio, che quando il pesce-particella A gira ad angolo retto, il pesce-particella B ruota in senso opposto.
Forse questa è una correlazione nello spin del pesce-particella? Uno scienziato ingegnoso potrebbe inventare una teoria che descriva e preveda molto accuratamente la relazione tra i due pesci-particella, ma la sua teoria si baserebbe su una illusione. Non ci sono affatto due pesci correlati casualmente tra loro. Il problema sta nel fatto che lui vede il pesce solo in due dimensioni (lo schermo bidimensionale del televisore), mentre la realtà dalla quale provengono le immagini è una “realtà multi-dimensionale”, a tre dimensioni. In questa realtà tridimensionale c’è un solo pesce, una singola entità. L’ambiente tridimensionale contiene in se stesso le immagini bidimensionali apparentemente correlate, ma è una realtà essenzialmente differente.
Bohm paragona questa situazione all’esperimento EPR. La differenza sta nel numero di dimensioni coinvolte. Nell’esperimento EPR, ciascuna delle particelle gemelle ha tre dimensioni spaziali e quindi complessivamente vi sono sei dimensioni. Quando le particelle gemelle sono molto distanti fra loro, esse appaiono ancora , nella nostra realtà tridimensionale, correlate, come il pesce-particella. Vediamo la correlazione ma non siamo in grado di stabilire la connessione causale. Come fa una particella ad influenzare l’altra a tale distanza? La risposta, secondo Bohm, sta nella dimensione più elevata: la sesta (per essere precisi). In questa realtà di dimensione più elevata ci possiamo rendere conto che due cose separate sono una sola unità, come il pesce-particella è una singola unità nella più elevata dimensione del suo acquario.
Talvolta, sostiene Bohm, gli atomi (o ciò che gli scienziati considerano tali) si comporteranno come entità relativamente indipendenti ed è conveniente trattarli come se fossero proprio entità separate interagenti tra loro nello spazio tridimensionale. Altre volte gli scienziati si troveranno di fronte al fatto che gli atomi sono proiezioni di una realtà di dimensione più elevata (cioè espressioni di ordini implicati). Per esempio, a temperature estremamente basse (vicine allo zero assoluto), smettono di comportarsi come se fossero indipendenti e presentano una proprietà chiamata: superconduttività; dove la corrente elettrica può fluire senza resistenza. Gli elettroni aggireranno gli ostacoli cooperando, senza essere diffusi (un fenomeno analogo avviene nella superfluidità e nella luce laser). Il numero di realtà di dimensione più elevata è teoricamente infinito. Per esempio, un oggetto che contenga 10^24 particelle atomiche, ha 3 x 10^24 dimensioni spaziali. Ovviamente questo modello mette a disposizione di Bohm ancora un altro modo, scientificamente più efficace, per visualizzare il suo concetto di ordine implicato-esplicato: esso è il processo di inviluppo e di sviluppo di un maggior numero di dimensioni implicate nel nostro familiare ordine esplicato dello spazio tridimensionale.
L’ologramma, prodotto da un campo elettromagnetico, obbedisce alle leggi della meccanica quantistica, e la matematica della meccanica quantistica si basa sul concetto di realtà multidimensionale. Bohm mostra come questo sistema matematico, che i fisici generalmente trattano solo come una formulazione astratta (escludendo a priori tutte le possibili dimensioni aggiuntive, con lo stratagemma del collasso della funzione d’onda), permetta di penetrare in qualcosa di potenzialmente “reale”. Esso è in grado di fornire un tipo di immagine della realtà subatomica che la meccanica quantistica non coglie (o ignora di proposito), sebbene Bohm sottolineò che anche questa idea di una realtà multidimensionale debba in ultima analisi essere trattata come un’astrazione: un’astrazione dimensionale più elevata. Per Bohm, la realtà multidimensionale è una totalità indivisa che si estende attraverso l’Universo e comprende tutto quello che gli scienziati chiamano particelle e campi. L’olomovimento si inviluppa e si sviluppa in un ordine multidimensionale dal quale si possono talvolta estrarre e studiare le subtotalità. Bohm tratta anche il tempo come una realtà di dimensione più elevata, …ma questa è un’altra storia.
Nel 1957, quando il fisico americano Hugh Everett III elaborò ed espose per la prima volta al mondo accademico, la sua “Teoria a Molti Mondi”, la maggior parte dei fisici di allora accolse con molto scetticismo (che ben presto si trasformò in vera e propria indifferenza) le idee di quel giovane fisico di 27 anni, che a quei tempi apparivano del tutto assurde e assai lontane da ciò che veniva considerato il “buon senso scientifico”.
Tuttavia, nei primi anni novanta, le cose in ambito accademico iniziarono a cambiare, e molti fisici (…ma non tutti) cominciarono a rivalutare seriamente le ipotesi di Everett, sulla possibilità di un Universo in cui la funzione d’onda non collassi mai, e quindi legata al formalismo della meccanica quantistica più “avanzata”, ossia quella il cui scopo è di cercare di risolvere i punti ancora oscuri dell’Interpretazione di Copenhagen.
In molti si cimentarono quindi nell’elaborazione di costrutti logico-matematici, a sostegno della tesi di Everett (uno dei suoi più agguerriti sostenitori è sicuramente David Deutsch); altri invece cercarono di elaborare delle teorie matematiche atte a demolire definitivamente la Teoria dei Molti Mondi. Uno di questi ad esempio è stato Abner Shimony. La sua critica più conosciuta in ambito accademico alla teoria di Everett, la espose con le seguenti parole: “Dal punto di vista di qualunque osservatore – o più esattamente, dal punto di vista di ogni “diramazione” di un osservatore – la diramazione del mondo da lui osservata si evolve in modo stocastico. Poiché tutte le altre diramazioni sono inaccessibili alle sue osservazioni, l’interpretazione di Everett ha esattamente lo stesso contenuto empirico – nel senso più ampio possibile – di una teoria quantistica modificata in cui sistemi isolati di tipo opportuno subiscono occasionalmente “salti quantici” che violano l’equazione di Schrödinger. Pertanto Everett ottiene l’evoluzione continua dello stato quantistico globale al prezzo di una violazione estrema del principio di Occam (…)”. L’ipotesi di Everett però non viola il principio di Occam.
Quando il sistema osservato è piccolo, l’Universo, inteso nel senso corrente di tutto ciò che esiste, non si scinde. Solo l’apparato di misura si scinde. Se decidiamo che è l’Universo a scindersi, esso consiste di tutti gli Universi classici permessi dal dominio, in cui la funzione d’onda dell’Universo non è nulla. Solo in apparenza quindi, questa è una violazione del principio di Occam; poiché uno dei problemi presenti a livello classico consiste nel considerare il fatto evidente che tra tutti i punti dello spazio dei dati iniziali delle equazioni di Einstein, uno solo è stato “realizzato”. È un problema comune a tutte le teorie classiche. A livello classico, per risolvere questo problema si devono porre le condizioni iniziali sullo stesso piano delle leggi fisiche. Si devono inoltre introdurre ulteriori leggi fisiche per implicare la riduzione della funzione d’onda. Adottando l’ipotesi di Everett non si deve invece ricorrere a nessuna legge nuova, perché in questo caso tutti i punti nello spazio dei dati iniziali corrispondono a Universi classici realmente esistenti.
Da queste brevi ma essenziali considerazioni, è facile intuire quindi (anche per un profano) quanto sia enorme la quantità di approcci logico-matematici e per certi aspetti anche filosofici, che si possono adottare, sia per cercare di smontare la tesi di Everett, sia per cercare invece di convalidarla. In termini puramente matematici, sull’ipotesi di Everett ci si potrebbe tranquillamente speculare ad infinitum; cosa che a molti potrebbe sembrare quasi un paradosso, considerando la sua eleganza e semplicità da un punto di vista formale.
Forse a causa anche di uno sconforto generale, per l’impossibilità di arrivare ad una “soluzione comune” in grado di chiarire definitivamente ogni cosa, riguardo alla MWI, in questi ultimi anni, l’interesse dei fisici si è spostato principalmente verso ciò che si potrebbero definire delle “prove sperimentali” (seppure indirette, poiché la comunicazione tra i vari mondi non è concessa, nell’ipotesi di Everett), a sostegno o meno dell’ Interpretazione a Molti Mondi.
Tralasciando le ipotesi o teorie più complesse (…ma anche le più assurde ed improbabili), ne prenderò in considerazione una che a mio avviso è sicuramente degna di nota; la sua importanza sta nel fatto che da un punto di vista sperimentale, con il progressivo ed esponenziale avanzamento del progresso scientifico-tecnologico, essa potrebbe (tra non più di 150 anni) fornirci effettivamente una prova indiretta dell’esistenza o meno di altri mondi e dimensioni, al di fuori di quello che attualmente conosciamo (e in cui viviamo). La verifica sperimentale di questa teoria, allo stato attuale della tecnica non è quindi ancora possibile, perché richiederebbe l’utilizzo di acceleratori di particelle in grado di produrre una quantità di energia di 10^19 GeV (dieci alla diciannovesima miliardi di elettronvolt !), andando così oltre la Grande Unificazione (GUT) per raggiungere a pieno titolo la Teoria del Tutto, dove le quattro forze fondamentali della natura (le tre forze di pertinenza quantistica più la gravità) si uniscono.
Le basi su cui poggia tale teoria, consistono nella possibilità che l’Universo a noi noto, decada in un nuovo vuoto quantistico. Alcuni fisici presumono che l’Universo in cui viviamo, si trovi in uno stato di falso vuoto quantistico, e che di conseguenza esso abbia già dovuto sperimentare da tempo una condizione di tunnel quantistico per giungere ad uno stato di vero vuoto quantistico (ground state). Il fatto che questo non sia mai accaduto, dimostrerebbe (indirettamente) la validità e la fondatezza della Teoria a Molti Mondi. Nella teoria quantistica dei campi, lo stato di vuoto rappresenta lo stato di vuoto quantistico con la più bassa energia possibile. In genere tale vuoto non contiene delle particelle fisiche (a volte viene usato anche il termine “campo di punto zero” per indicare lo stato di vuoto di un singolo campo quantizzato). La meccanica quantistica comunque, ci dimostra che non può esistere uno stato di vuoto totale e assoluto, in esso vi saranno sempre presenti (anche se in piccole quantità) delle onde elettromagnetiche assai effimere e sfuggenti come del resto anche particelle in grado scomparire e ricomparire un’infinità di volte, poiché su scale prossime alla lunghezza di Planck, spazio e tempo perdono qualsiasi significato fisico.
Rimanendo sempre nella teoria quantistica dei campi, è possibile comunque prendere in considerazione anche un altro modello o tipologia di vuoto, il cosiddetto: falso vuoto. Esso è da considerarsi un settore metastabile di spazio, paragonabile ad una sorta di “vuoto perturbativo”, influenzabile dagli effetti di instanton che potrebbero (grazie ad una fugace condizione di tunnel quantistico) portare il falso vuoto in questione in uno stato di energia molto più basso. La condizione di tunnel quantistico, verrebbe innescata in tal caso da fluttuazioni quantistiche oppure dalla creazione di particelle ad alta energia. In poche parole, il falso vuoto rappresenta un “minimo locale”, ma non la più bassa energia di stato, anche se può rimanere stabile per un po’ di tempo.
Nel grafico riportato qui sopra, l’energia (E) è in funzione di un campo scalare (φ) in un falso vuoto quantistico. Dal grafico si evince che l’energia (E) del falso vuoto è più elevata rispetto a quella del vero vuoto. Esiste comunque una sorta di barriera, tra i due stati, in grado di impedire l’oscillazione-slittamento del falso vuoto verso quello vero. Affinché possa accadere quindi il fenomeno del “passaggio di stato” tra un vuoto e l’altro, ossia affinché il falso vuoto possa “decadere” in quello vero, occorre stimolare il sistema con la creazione di particelle ad alta energia oppure mediante l’effetto tunnel quantistico.
Gli effetti gravitazionali, in relazione alla teoria sin qui trattata sui vari stati di vuoto quantistico, sono sicuramente numerosi e tutt’altro che semplici da studiare da un punto di vista prettamente matematico, soprattutto se si vuol poi cercare di correlarli all’Interpretazione a Molti Mondi di Everett (alcuni studi sono stati eseguiti da S.Coleman e F.De Luccia, ma non hanno portato a grandi risultati).
Da un punto di vista teorico quindi, sono ancora molte le strade che si possono esplorare nel tentativo di gettare le basi matematiche per la nuova fisica del 2100, o del 2150 (visto l’enorme quantità di energia che occorre impiegare per giungere finalmente al Sacro Graal della fisica, la Teoria del Tutto). Tuttavia, da un punto di vista sperimentale, almeno la Teoria della Grande Unificazione, sembrerebbe sempre più “a portata di mano”.
Fausto Intilla,
13 novembre 2020